Da Indesit a Menarini, le grandi in crisi. Ora arrivano i salvataggi di settore

Le alleanze nella siderurgia e le ipotesi di un polo degli elettrodomestici

Le notizie sull’apertura di crisi industriali si susseguono e nella pioggia è persino difficile scorgere le differenze. Sono negli ultimi giorni si è discusso di significative riduzioni di posti di lavoro alla Menarini (700 posti), al corriere espresso internazionale Tnt (850), alla Indesit (1.425 esuberi) e qualche segnale di annuvolamento arriva da Natuzzi. La sensazione è che stia aumentando la taglia media delle aziende che chiedono ricovero al ministero dello Sviluppo economico e di conseguenza aumentano le difficoltà per cercare di risolvere i singoli casi.
Fin quando si è trattato di aziende come la Omsa, gli stabilimenti tessili di Airola o la Miroglio di Ginosa la task force del ministero è riuscita a comportarsi da piccola banca d’affari. Cercava imprenditori disposti a rilevare le attività in chiusura rilevando gli impianti, salvando l’occupazione e magari cambiandone la missione produttiva. L’operazione in più di qualche caso è riuscita (attraendo imprese come la Adler e la QBell) ma quando si parla delle grandi aziende della siderurgia, dell’intero settore degli elettrodomestici o del farmaceutico o comunque di gruppi importanti come Marangoni o Acc di Mel è chiaro che la terapia non può più essere la stessa. Ci vorrebbero due cose: o un drastico intervento sul costo del lavoro o politiche industriali estremamente mirate.

Prendiamo il settore degli elettrodomestici. Hanno difficoltà un po’ tutte le aziende che operano in Italia, dalla Whirlpool alla Electrolux fino alla Indesit che nei giorni scorsi ha annunciato un piano-shock in base al quale il 33% dei dipendenti del gruppo sono considerati in esubero. Negli anni ’90 veniva prodotto in Italia il 45% del bianco venduto in Europa, oggi siamo rimasti schiacciati tra i marchi tedeschi di gamma alta (Miele, Bosch) e i nuovi paesi produttori come Polonia e Turchia. Durante il governo Monti l’associazione di categoria, il Ceced

Confindustria, aveva più volte minacciato di delocalizzare se il governo non fosse intervenuto. Ora però siamo già oltre il tempo regolamentare e nei giorni scorsi Maurizio Castro, ex parlamentare Pdl e soprattutto ex manager Electrolux, ha proposto di creare un polo nazionale del bianco a guida Indesit che «assorba i siti italiani di Whirlpool, Electrolux e dei produttori minori con relativa componentistica». Castro pensa che l’operazione dovrebbe essere coadiuvata dal Fondo Strategico Italiano e magari aprirsi a una partnership con i giapponesi della Nidec. «Abbiamo perso il treno dell’innovazione. Le prestazioni e la struttura dei frigoriferi degli anni 60 è identica a quella di oggi, l’unica novità tecnologica è stato il tritaghiaccio».

Nella siderurgia accanto al caso Ilva le situazioni di sofferenza sono numerose e riguardano Piombino, Trieste e Terni. Ma il rischio (successivo) deriva dalla crisi dell’edilizia che assorbe il 50% delle vendite italiane di acciaio e sta mettendo a nudo la sovracapacità produttiva dell’industria del tondino presente nel Nord Italia. Da tempo le famiglie della siderurgia hanno superato le vecchie questioni di patriottismo aziendale e discutono di ipotesi di razionalizzazione. Il guaio è che a chiudere e a generare nuovi esuberi di personale sarebbero impianti non relativamente obsoleti – come quelli di Piombino e Trieste – ma tra i più efficienti d’Europa. Si è perso del tempo e non sono state ancora individuate le forme del consolidamento, acquisizioni o fusioni o scambi azionari, ma il puzzle delle alleanze riguarda famiglie come Pittini, Pasini, Brunori, Lonati e Stabiumi, Stefana e Leali nel tondino. E ancora Stefana e Duferco nelle travi per l’edilizia.

Nel farmaceutico il caso che è esploso nei giorni scorsi è quello del gruppo Menarini che prima aveva parlato di mille esuberi e ora li ha quantificati in 700. Molti di loro non sono addetti alla produzione ma informatori tecnico-scientifici. Tutto il settore della farmaceutica italiana è comunque in subbuglio per gli effetti della spending review, per l’introduzione dei farmaci generici e per il blocco all’entrata di nuovi prodotti.

La tesi degli industriali è che i generici non hanno avvantaggiato il consumatore (il rimborso è comunque dato sul prezzo più basso) ma solo messo in difficoltà l’industria di marca. Per di più arrivano per la maggior parte da gruppi indiani o israeliani e hanno tolto all’industria italiana il 24% del mercato. Un segnale della difficoltà di produrre in Italia è venuto negli stessi giorni dalla Merck che ha comunicato la decisione di chiudere entro il 2014 lo stabilimento di Pavia dove si produce un antidiabetico. Infine il settore legno-arredo. A poche settimane dal risultato ottenuto, con l’estensione degli incentivi per le ristrutturazione edilizie anche all’acquisto di mobili, gli imprenditori si riuniranno oggi a Milano per ricalibrare le loro politiche commerciali e di prodotto. Secondo le ultime rilevazioni i ricavi del 2013 dovrebbero far segnare un poco rassicurante -10,5% gli incentivi però potrebbero addolcire il trend negativo. La domanda però diventa: si può sopravvivere di bonus in bonus?

Dario Di Vico

Fonte: www.corriere.it

Pubblicato da G.C.

Informatore Scientifico del Farmaco

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