Farmaci con ricetta, le responsabilità del farmacista

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Premesso che qualora indicato come “non sostituibile” il farmacista deve dare il farmaco indicato nella ricetta e nel caso in cui sulla ricetta non risulta questa indicazione, dopo aver informato il cliente e salvo diversa richiesta di quest’ultimo, il farmacista può dare il medicinale equivalente a quello prescritto.

Va detto che su queste questioni, come ci spiega l’Avv. Andrea Castelnuovo, non esiste ancora un orientamento giurisprudenziale, cioè non ci sono precedenti in base ai quali valutare come un giudice potrebbe risolvere il problema di un paziente danneggiato da un farmaco sostituito dal farmacista in assenza dell’indicazione di non-sostituibilità. Possiamo però trarre principi ispiratori dalla case history, come il seguente.

Con la sentenza n. 8073 del 28 marzo 2008 la Corte di Cassazione ha risolto il caso che vedeva protagonista suo malgrado una signora che, dopo essersi sottoposta ad una delicata operazione chirurgica, aveva trascorso un periodo di convalescenza presso un’altra clinica da dove era stata dimessa con la prescrizione di assumere, tra gli altri, un farmaco anticoagulante (il warfarin) in misura di “3/4 di compressa al dì”, mentre il medico di base, nel compilare la ricetta, le aveva invece erroneamente prescritto l’assunzione di 3 compresse al giorno.
La clinica non intendeva certo dire “tre o quattro compresse ma tre quarti di compressa”, scatenando l’ira dei figli della signora, che decidono di far causa al farmacista che, apponendo sulla confezione del farmaco la scritta “1+1+1”, ha così indotto secondo loro la paziente ad un uso in sovradosaggio del medicinale.

Ebbene, la Corte ha respinto la domanda di risarcimento avanzata dai parenti della signora, ormai defunta, contro il farmacista sostanzialmente per due motivi: 1) a fronte della precisa indicazione del medico, il farmacista non aveva certo il compito di verificare se la posologia del farmaco prescritto fosse effettivamente corrispondente alle particolari esigenze terapeutiche della paziente; 2) l’appunto sulla scatola del farmaco della scritta “1+1+1” era irrilevante, poiché quel dosaggio ben poteva rientrare nell’ambito di una terapia di mantenimento, consentita nella misura massima di 15 milligrammi (corrispondenti, appunto, alle tre capsule).

La vicenda si è conclusa bene per il farmacista, mentre la vertenza andava aperta forse contro il medico, reale “autore della erronea prescrizione farmacologia”, come recita la Corte concludendo il suo ragionamento sull’assoluzione del farmacista.

 

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Fonte: benesseresalute.net

Pubblicato da G.C.

Informatore Scientifico del Farmaco

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