Immunoterapia con linfociti T nella leucemia linfatica acuta del bambino

Stando ai risultati di uno studio di fase I presentato al congresso dell’American Association for Cancer Research (AACR), i linfociti T, componenti essenziali del sistema immunitario, possono essere modificati geneticamente in modo da combattere la leucemia nei bambini.

Il trattamento è un’immunoterapia con linfociti T autologhi trasdotti con un recettore dei linfociti T chimerico (CAR) capace di riconoscere l’antigene CD19, espresso dalle cellule tumorali. I linfociti T vengono espansi e attivati in vitro e poi reinfusi nel paziente ha spiegato il primo autore dello studio Daniel W. Lee, del Pediatric Oncology Branch del National Cancer Institute. “La terapia con cellule T esprimenti un CAR anti-CD19 è un modo completamente nuovo di contrastare la leucemia infantile” ha detto spiegato Lee ai giornalisti in conferenza stampa.

Nello studio presentato al congresso, il trattamento ha dimostrato un’attività antileucemica in tre bambini su tre bambini colpiti da leucemia linfocitica acuta (LLA).

Un ragazzino di 13 anni, che aveva avuto una recidiva dopo un trapianto di midollo osseo, ha mostrato una risposta completa che è durata diversi mesi.

Una ragazza di 16 anni, anche lei recidivata dopo un trapianto di midollo, ha avuto una risposta completa transitoria iniziale, ma non è ancora pienamente valutabile.

Sorprendentemente, una ragazzina di 11 anni, che non era stata sottoposti al trapianto, non era mai stata in remissione ed era refrattaria a qualsiasi trattamento, compresa la chemioterapia, ha avuto una risposta completa. “Si spera che l’immunoterapia per lei possa dimostrarsi curativa” ha detto Lee. La risposta al trattamento ha messo anche la paziente in condizione di fare il trapianto di midollo.

“La terapia con cellule T trasdotte con CAR anti-CD19 può indurre la remissione completa, anche nei casi in cui la chemioterapia non è fattibile” ha aggiunto l’autore.

Un quarto paziente, una bambina di 10 anni con un linfoma a cellule B che aveva recidivato dopo il trapianto di midollo, non ha risposto alla nuova terapia e ha mostrato una progressione della malattia.

Per preparare il vaccino, i ricercatori hanno raccolto i linfociti T dei pazienti e li hanno modificate in vitro in modo da riconoscere un antigene, il CD19, espresso dalle cellule leucemiche e quindi attaccare il tumore. Il linfociti T trasdotti sono stati quindi espansi fino ad arrivare a conte di 1 milione/kg e quindi reinfuse nei pazienti, che erano stati preetrattati con fludarabina e ciclofosfamide.

Il trattamento è stato ben tollerato, ha riferito Lee, e gli effetti avversi fino ad ora sono stati gestibili, senza alcuna evidenza di malattia del trapianto contro l’ospite.

“La terapia con cellule T autologhe che esprimono un CAR anti-CD19 è una strategia ragionevole e potenzialmente efficace” contro l’LLA, scrivono gli autori nella conclusione del loro abstract.

“L’utilizzo di linfociti T trasdotti con CAR è un settore molto caldo della ricerca sul cancro” ha detto il moderatore della conferenza stampa Louis Weiner, del Georgetown Lombardi Comprehensive Cancer Center di Washington, non coinvolto nella ricerca.

L’immunoterapia adottiva con linfociti T trasdotti con CAR diretti contro l’antigene ha già dimostrato una notevole efficacia terapeutica anche in pazienti adulti colpiti da linfomi a cellule B o da leucemia linfocitica cronica.

Lee ha ricordato anche il caso di due bambini con LLA refrattaria alla chemioterapia e in recidiva (pubblicato online il 25 marzo scorso sul New England Journal of Medicine) che sono stati sottoposti a quest’immunoterapia presso il Children’s Hospital di Philadelphia e hanno ottenuto una remissione completa. Tuttavia, l’autore ha suggerito che il protocollo sviluppato presso il National Cancer Institute è superiore in termini di tempi.

Lee e il suo gruppo stanno continuando a testare il loro protocollo in pazienti la cui malattia è recidivata dopo i trattamenti standard o refrattari a tali trattamenti, anche in quelli non sottoposti a trapianto di midollo osseo. “Pensiamo che i bambini che non hanno mai fatto un trapianto possano mostrare tossicità differenti” ha detto il ricercatore, aggiungendo che nei quattro pazienti trattati fino ad oggi, il profilo di sicurezza è apparso “accettabile”. Gli effetti collaterali principali sono stati febbre, ipotensione e abbassamento della conta leucocitaria, ma tali effetti sono durati “solo pochi giorni” e sono stati tutti gestibili in un ambiente ospedaliero.

Fonte: www.pharmastar.it

Pubblicato da G.C.

Informatore Scientifico del Farmaco

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