Infarto miocardico acuto, L-carnitina riduce decessi, aritmie e angina

Una metanalisi di 13 studi controllati è arrivata alla conclusione che l’aggiunta di L-carnitina alle altre terapie indicate nella fase acuta dell’infarto miocardico sembra avere effetto cardioprotettivo, riducendo in modo significativo la mortalità complessiva, le aritmie ventricolari e i sintomi dell’angina.

Nei pazienti che hanno avuto un infarto miocardico acuto, secondo la metanalisi, la riduzione della mortalità per qualunque causa con l’L –carnitina rispetto al placebo o a un controllo è stata del 27%, quella delle aritmie ventricolari del 65% e quella dei sintomi anginosi del 40%.

Il lavoro, appena pubblicato online sui Mayo Clinic Proceedings, è degno di nota anche perché la sua uscita giunge giusto a una settimana di distanza da quella di un altro studio apparso su Nature Medicine, che, al contrario, ha lanciato un allarme sui rischi della carnitina per il cuore.

In alcuni studi fatti in precedenza, l’L-carnitina è stata somministrata per periodi di 6 mesi-un anno, dimostrando potenziali benefici sul cuore (per esempio, un miglioramento del metabolismo cardiaco e della funzione venticolare sinistra, e una prevenzione della dilatazione del ventricolo sinistro), il che fa pensare a un suo possibile ruolo non solo nella gestione della fase acuta, ma anche nella prevenzione secondaria, scrivono gli autori, guidati da James J DiNicolantonio (di Wegmans Pharmacy, Ithaca, Nw York).

Gli apparenti benefici di sopravvivenza con l’L-carnitina – significativi, ma solo di poco – sono derivati principalmente della riduzione delle dimensioni dell’infarto e da una stabilizzazione della membrana dei cardiomiociti, con miglioramenti cronici del metabolismo energetico cellulare.

“Gli studi hanno dimostrato che riducendo le dimensioni dell’infarto si ha un miglioramento del salvataggio e della vitalità del miocardio” ha detto DiNicolantonio in un’intervista, aggiungendo che gran parte della riduzione della mortalità nella fase acuta dipende da questo meccanismo che potrebbe essere legato alla riduzione delle aritmie.

DiNicolantonio e gli altri autori concludono che la loro analisi “giustifica un possibile impiego dell’L-carnitina nell’infarto miocardico acuto ed, eventualmente, nella prevenzione coronarica secondaria nonché nel trattamento di sintomi tra cui l’angina”.

L’L-carnitina è una metilammina quaternaria contenuta spesso negli integratori alimentari e nelle bevande energetiche commerciali. Il lavoro pubblicato su Nature Medicine è uno studio clinico e preclinico che nell’insieme suggerisce come un apporto elevato di carnitina con la dieta, soprattutto tramite le carni rosse, ma anche attraverso gli integratori, possa accelerare indirettamente l’aterosclerosi, perché il lavoro dimostra che i batteri della flora intestinale convertono l’L-carnitina in trimetilammina-N-ossido (TMAO), che a sua volta promuove il trasporto del colesterolo verso le pareti dei vasi.

Gli autori, guidati da Stanley Hazen, della Cleveland Clinic, segnalano inoltre che l’aterosclerosi è risultata particolarmente evidente in coloro, tra i volontari studiati, che erano forti mangiatori di carne rispetto ai quelli vegani o vegetariani.

“Se il problema dovesse essere la carnitina, certamente avere livelli alti di carnitina sarebbe peggio che averli bassi” ha detto DiNicolantonio commentando il lavoro di Nature Medicine. Ma l’autore ha anche fatto notare come quello studio abbia in realtà indicato nel TMAO il driver dell’aterosclerosi, “ma solo se certi batteri lo formano”. Inoltre, ha sottolineato come questa sostanza si sia formata nei mangiatori di carne e ha quindi avanzato l’ipotesi che possa essere la carne, e non l’L-carnitina contenuta al suo interno, a promuovere l’aterosclerosi. “È davvero difficile distinguere” ha DiNicolantonio, rimarcando anche che non tutti i risultati dello studio su Nature Medicine sono in realtà coerenti con le conclusioni degli autori.

L’autore senior dello studio Carl J. Lavie, del John Ochsner Heart and Vascular Institute della University of Queensland di New Orleans, ha affermato in una nota che quel lavoro “è di interesse, ma è stato fatto per lo più sull’animale” e, a differenza del loro, “non su outcome clinicamente rilevanti”. Lavie ha anche osservato che esistono “varie forme di carnitina” e che la loro metanalisi ha riguardato nello specifico gli effetti della supplementazione con L-carnitina su outcome importanti in pazienti che avevano già avuto un infarto.

“L’L-carnitina può potenzialmente favorire la formazione della placca. Certamente c’è bisogno di studi che facciano chiarezza su questo possibile problema, ma siamo abbastanza certi che nella fase acuta, fino a un anno dall’evento, l’L-carnitina non ho mostrato alcun segnale di danno in nessuno degli studi e, quando li abbiamo combinati, abbiamo osservato una riduzione significativa della mortalità per qualsiasi causa” ha affermato DiNicolantonio.

Lui e gli altri autori hanno calcolato un RR di mortalità per qualsiasi causa pari a 0,78 , con un NNT di 38 (IC al 95% 0,60-1,00; P = 0,05), un RR di aritmie ventricolari pari a 0,35, con un NNT di 4 (IC al 95% 0,21-0,58; P < 0,0001) un RR di sviluppare angina pari a 0,60, con un NNT di 3 (IC al 95% 0,50-0,72; P < 0,00001). Invece, si è vista solo una tendenza non significativa alla riduzione degli infarti del miocardio (RR 0,78; IC al 0,41-1,48; P = NS) e dell’incidenza dello scompenso cardiaco (RR 0,85; IC al 95% 0,67-1,09; P = NS). Secondo i ricercatori, diversi processi biologici potrebbero essere responsabili degli effetti benefici della carnitina osservati nell’infarto miocardico acuto Tra questi, ipotizzano, potrebbero esserci la capacità dell’L-carnitina di favorire l'eliminazione dei metaboliti tossici degli acidi grassi e di facilitare il trasporto degli acidi grassi a catena lunga nei mitocondri, migliorando l'ossidazione del glucosio. Tra le limitazioni dello studio, gli autori riconoscono che la maggior parte degli studi inclusi nella metanalisi erano di piccole dimensioni e non avevano un numero consistente di endpoint, oltre al fatto che un solo studio, il più ampio, è stato responsabile, da solo, del 62% dei decessi. Inoltre, i trial erano piuttosto eterogenei e cinque di essi non erano in doppio cieco. DiNicolantonio e i suoi concludono dicendo che occorre fare uno studio più ampio nei pazienti con infarto miocardico acuto per confermare i loro risultati, ma sottolineano anche che, “alla luce del suo basso costo e dell’eccellente profilo di sicurezza, la terapia con L-carnitina può essere già presa in considerazione in pazienti selezionati ad alto rischio o con un’angina persistente dopo un infarto acuto che non tollerano gli ACE-inibitori o i betabloccanti". Fonte: www.pharmastar.it

Pubblicato da G.C.

Informatore Scientifico del Farmaco

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