MILANO – I primi a essere sorpresi dai risultati sono stati gli stessi ricercatori: nella terapia dell’ictus, evento che ogni anno colpisce in Italia circa 200mila persone, il ricorso all’infusione in vena di un farmaco in grado di sciogliere il coagulo che ostruisce l’arteria è efficace almeno quanto la tecnica endovascolare in cui l’arteria viene riaperta meccanicamente in maniera analoga a quanto accade nei pazienti con infarto miocardico. «Si era sempre pensato che la tecnica endovascolare fosse molto più efficace – spiega Alfonso Ciccone, del Dipartimento di neurologia e Stroke Unit dell’Ospedale Carlo Poma di Mantova, coordinatore del gruppo di ricerca italiano -. L’idea era quella di dimostrarne l’efficacia al fine di diffondere il suo utilizzo in modo che potessero beneficiarne tutti e non solo i pazienti colpiti da ictus che hanno la fortuna di trovasi vicino a un ospedale dotato di una radiologia interventistica». Lo studio, cui hanno partecipato 24 centri italiani e che ha reclutato complessivamente 362 pazienti, ha un altro pregio, quello dell’assoluta indipendenza, essendo stato sostenuto da un finanziamento pubblico da parte dell’agenzia del farmaco, l’Aifa.
LARGA SCALA – «Un altro studio statunitense, l’IMS III (pubblicato sullo stesso numero della prestigiosa rivista New England Journal of Medicine su cui è apparsa la ricerca italiana, ndr) è stato condotto con un disegno un po’ diverso che risolve in parte il problema del tempo – spiega il neurologo -: qui si è iniziato a trattare i pazienti per via venosa in attesa dell’intervento endovascolare». In pratica, nello studio statunitense tutti i pazienti venivano sottoposti al trattamento col farmaco endovena, successivamente la metà veniva indirizzata al trattamento endovascolare mentre i rimanenti proseguivano con la terapia endovenosa. In questo modo si evitava che fra i due gruppi vi fossero differenze in termini di tempo di inizio della terapia. Anche in questo studio tuttavia, non sono emerse differenze di efficacia fra le due procedure. Sebbene il risultato di questi studi abbia deluso le aspettative dei ricercatori, alcuni risvolti sono decisamente positivi. «La trombolisi venosa è molto più disponibile ed è più facile da effettuare: si tratta di fare una flebo, sebbene in pazienti attentamente selezionati, sapendo che si tratta di un farmaco che può essere anche pericoloso – ricorda l’esperto -. È un trattamento che può essere usato su larga scala per trattare una patologia che ha un’incidenza importante nella popolazione: come patologia è la prima causa invalidità e la terza causa di mortalità». Il secondo aspetto positivo è di ordine economico: il trattamento con il farmaco è molto più economico, costa meno di un quarto della procedura endovascolare.
Fonte: www.corriere.it